Solstizio d’estate: il sole trionfa nel cielo
21 giugno, Solstizio d’Estate: in questo giorno – conosciuto come
il più lungo dell’anno – il sole culmina allo zenith, ovvero si
trova nel punto più alto della volta celeste. Le giornate
solstiziali nelle tradizioni precristiane erano sacre e ancora
oggi ciò si riflette in una festività cattolica che cade qualche
giorno dopo il solstizio canonico, al 24 giugno, quando nel
calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di
San Giovanni Battista. Va detto che i moderni gruppi neopagani e
neodruidici celebrano tuttora il giorno di “Midsummer” (Mezza
Estate, per citare Shakesperare) e i riti solstiziali che si
svolgono in particolare a Stonehenge richiamano sempre migliaia di
persone.
I giorni solstiziali includono alcune fra le celebrazioni più
popolari dell’Occidente e poiché il sole trionfa nel cielo, le
antiche tradizioni collegavano questo periodo dell’anno con la
comunicazione diretta fra visibile e invisibile.
Il Guardiano della Soglia
Il gran numero di usanze e di piccoli rituali ancora oggi vivi in
tutta Europa testimoniano che il solstizio estivo, insieme a
quello invernale, resta uno dei periodi più amati e profondamente
intessuti nella cultura popolare. E ai vecchi nomi
ne subentrano di nuovi... per esempio, nell’antica Roma i due
solstizi erano consacrati a Giano bifronte, il dio guardiano delle
soglie e dei passaggi. Oggi (non è un caso) troviamo i due
Giovanni, il Battista presso il solstizio d’Estate e l’Evangelista
presso quello d’Inverno.
I popoli antichi chiamavano i due solstizi “porte”: Porta degli
Dèi o degli Immortali quello
invernale, Porta degli Uomini quello
estivo. Scrive Alfredo Cattabiani (in “Lunario”): «Omero
descriveva nell’Odissea un misterioso antro dell’isola di Itaca
nel quale si aprivano due porte. Il poeta spiegava che la porta
degli uomini è rivolta a Borea, cioé a Nord (e infatti al
solstizio estivo il sole si trova a nord dell’equatore celeste),
mentre quella degli dèi e degli immortali è volta a Noto, ovvero a
sud, perché l’astro al solstizio invernale si trova a sud
dell’equatore.»
Astronomia di oggi e di ieri
Il termine “Solstizio” significa “Sole stazionario” e indica che
in questo momento astronomico l’astro non si alza né si abbassa
rispetto all'equatore celeste. Nell’esatto mezzogiorno astronomico
le ombre degli edifici e dei pali scompaiono del tutto; sempre in
quest’occasione, al tropico del Cancro è possibile osservare
l’immagine del disco solare nel fondo dei pozzi, riflesso
dall’acqua anche a decine di metri di profondità e lo stesso
fenomeno si ripete il 21 dicembre (solstizio d’inverno) al tropico
del Capricorno.
Un riferimento astronomico molto importante, come abbiamo visto è
l’equatore celeste. Si tratta della proiezione (immaginaria) sulla
volta celeste dell’equatore terrestre: è un semicerchio e mostra
il percorso del sole. Durante gli equinozi (primavera e autunno)
si ha parità fra giorno e notte: dodici ore di luce e altrettante
di buio. In tutti gli altri giorni dell’anno il percorso
giornaliero del Sole è parallelo all’equatore celeste: in
primavera ed estate si ha un percorso maggiore dell’equatore
celeste, quindi il giorno prevale sulla notte, in autunno e
inverno accade esattamente il contrario.
Fuochi sulle montagne d’Europa
Il fascino della festa patronale dedicata a S. Giovanni risiede
ancora oggi nei fuochi che si accendevano (e da qualche parte
tuttora si accendono), facendo ardere mucchietti di resina, per
andare poi a osservarli da lontano, la sera. Fino a qualche
decennio fa, i fuochi di San Giovanni venivano accesi in tutta la
Valle Camonica, soprattutto dai paesi collocati più in alto, in
modo che potessero essere ben visibili da lontano. Questi falò
continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al
solstizio d'estate: sono praticati dall'Irlanda alla Russia, dalla
Svezia alla Grecia e alla Spagna. Documenti del XVI secolo
testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della
Germania; i rituali intorno al fuoco erano connessi alla fertilità
del raccolto, alla salute, alla buona sorte, a proteggere dai
fulmini. In Austria, nel Salzkammergut e nella zona di Bad Goisern
vicino ad Hallstatt (culla dei Celti della prima Età del Ferro) si
usa ancor oggi accendere grandi falò sui fianchi delle montagne la
sera del 23 giugno; celebrazione analoga è lo Highlight, un immane
falò solstiziale che viene acceso a Schwarzenbach durante il
Keltenfest, la festa dei Celti. Nell’antica Gallia, durante i
giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli
al dio Belen (o Belenos, di cui abbiamo parlato nella pagina
dedicata a Beltane).
Ruote di fuoco
Per alcuni la festa di S. Giovanni sarebbe la trasformazione di un
antico culto solare (un riferimento preciso è reperibile nella
festa romana del 24 giugno indicata come “solstitium” o “campas”),
che rivela quindi radici profonde nella tradizione rituale
precristiana. Molto importante non dimenticare il legame con
l’antica società agraria, che con il culto del sole aveva un forte
legame simbolico. Un esempio del culto solare in ambito agricolo è
rappresentato dal tradizionale gioco delle “ruzzole” praticato
nell’Appennino modenese (ma attestato con piccole varianti anche
in altre aree). Questa tradizione, che qualcuno vuole celtica e
qualcun altro pre-celtica, ha trovato la sua massima espressione
nel lancio di grandi ruote di legno accese e non di rado
inghirlandate. Secondo Frazer (in “Il Ramo d’oro”), «si riferisce
al ciclo discendente del sole, avente inizio nella data rituale in
questione e risponde all’intento di sfondare ritualmente il nuovo
anno astronomico dando, in senso magico, il via a un favorevole
corso del sole, identificato nella ruota».
Il lancio delle ruote infuocate è ancora vivo con le “cìdulis”
delle Alpi orientali del Friuli; normalmente, prima di lanciare la
sua “cìdule”, il lanciatore grida «vòdi cheste cìdule onor di...»
(dedico questa ruota di fuoco in onore a...) e accompagna
l’esclamazione con il nome del santo festeggiato (il rituale,
rifiorito in tempi recenti, si può ripetere anche in occasione
dell‘Epifania e di vari santi patroni locali). Queste ruote
avvolte di paglia e incendiate, di cui si trova esempio anche in
altre aree europee e spesso collegate al falò rituale, sono state
interpretate come tentativi di ricostruzione simbolica del ciclo
solare.
Danze intorno al falò
Nonostante la demonizzazione secolare dei culti agresti (ancora
oggi si mormora che nella notte di S. Giovanni le streghe
celebrerebbero i propri rituali), alcuni aspetti tipici di questa
festa pagana non si sono spenti e hanno mantenuto una propria
vitalità, conservando alcune caratteristiche: oltre ai fuochi, le
sfilate, le danze, i giochi, il coinvolgimento collettivo in
genere e soprattutto intorno al gran falò finale. Un’altra pratica
legata a S. Giovanni è la danza intorno alle grandi pietre
megalitiche, considerate cariche di poteri magici.
Da sempre, con il fuoco si mettono in fuga le tenebre e con esse
gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo.
Intorno ai fuochi dunque si danzava e si cantava, e nella notte
magica avvenivano prodigi: le acque trovavano voci e parole
cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse
d'amore e di fortuna...
Raccolta di erbe
Trascorrendo la notte nelle piazze e in campagna, presso fonti e
fiumi, non solo si cantava e si danzava per tutta la notte, ma si
prediceva la sorte e si raccoglievano erbe e foglie che venivano
battezzate nelle acque da compari e comari, per essere poi
devotamente appese in casa, appese alle pareti, per un intero
anno.
Le erbe raccolte nella notte di S. Giovanni erano ritenute
speciali, le più adatte per preparare pozioni magiche e
medicamentose, potenti filtri, e per preparare incantesimi. Non va
considerata un’idea superstiziosa, ma piuttosto la consapevolezza
(dovuta anche alla pratica) che solo in alcuni giorni dell’anno
era possibile ottenere i massimi principi attivi (effetto
balsamico) dai poteri vegetali. Le tradizioni erboristiche antiche
rivelano infatti una matura conoscenza della fitoterapia e
soprattutto la capacità di creare una simbiosi favorevole con la
natura. In questa magica notte, oltre alla raccolta delle erbe,
era d’uso anche bagnarsi gli arti sofferenti con la rugiada.
Uomini e donne che rotolavano nudi nei prati per assorbire il
potere della rugiada di S. Giovanni crearono un’atmosfera
facilmente demonizzabile dall’autorità ecclesiastica, che in
questa pratica individuò una manifestazione stregonesca. A tale
proposito, si ricorda un Editto pubblicato a Roma il 17 giugno
1755, dal Vicario Marco Antonio Colonna, il quale avvertiva di
vigilare e contenere gli «abusi che si commettono nella notte
della vigilia di San Giovanni Battista» ricordando che «contro i
trasgressori si procederà anche per inquisizione».
Concludiamo con i fiori cari a San Giovanni: l'artemisia,
l'arnica, le bacche rosso fuoco del ribes, l’erica e la verbena,
della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della
vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione
contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come “erba della
croce”, perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da
qualsiasi male; è nota anche come "erba della doppia vista" perché
il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti
nascoste.
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